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e i campanili di Saragozza erano illuminati dagli ultimi raggi, il cielo era limpidissimo; volsi ancora uno sguardo intorno per imprimermi bene nella memoria l’aspetto della città e della campagna, e prima di voltarmi per scendere, dissi al custode che mi guardava con un’aria di benevola curiosità: “Racconti agli stranieri che verranno a visitare d’ora in avanti la torre, che un giorno, un giovane italiano, poche ore prima di partire per la Castiglia, salutando per l’ultima volta, da questo balcone, la capitale dell’Aragona, s’è scoperto il capo col sentimento del più profondo rispetto, così, — e che non potendo baciare sulla fronte, ad uno ad uno, tutti i discendenti degli eroi del 1809, ha dato un bacio al custode.” — E glielo diedi, e me lo rese, e me n’andai contento, ed egli pure, e rida chi vuole.

Con questo mi parve di poter dire che avevo visto Saragozza, e tornai all’albergo ricapitolando le mie impressioni. Mi restava però una gran voglia di fare un po’ di conversazione con qualche buon saragozzano, e dopo desinare andai al caffè, dove trovai subito un capomaestro e un bottegaio, che tra un sorso e l’altro di cioccolatte, mi esposero lo stato politico della Spagna e i mezzi più efficaci

«Di portar la baracca a salvamento.»


La pensavano molto diversamente. L’uno, il bottegaio, ch’era un ometto col naso rincagnato e un