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revan gente usciti allora allora da un veglione, dove avessero rappresentato tutti insieme una tribù selvaggia di qualche ignoto paese. A poco a poco si apersero le botteghe e le case, e il popolo saragozzano si sparse per le strade. I cittadini, nel vestire, non han nulla di diverso da noi; ma sì qualcosa di particolare nei volti; alla serietà degli abitanti della Catalogna, uniscono l’aria sveglia degli abitanti delle Castiglie, avvivata ancora da un’espressione di fierezza tutta propria del sangue aragonese.

Le strade di Saragozza hanno un aspetto severo, quasi tristo, com’io me lo immaginava prima di vederle. Fuori del Coso, che è una larga strada che attraversa una buona parte della città descrivendo una grande curva semicircolare, — il Coso anticamente famoso per le corse, le giostre e i tornei che vi si celebravano nelle pubbliche feste, — fuori di questa bella ed allegra strada, e d’alcune poche recentemente rifatte, che paion strade di città francese, le altre son strette, tortuose, fiancheggiate da case alte, di color cupo, di scarse finestre, somiglianti a vecchie fortezze. Son strade che hanno una impronta, un carattere, o come altri dice, una fisonomia loro propria, che vista una volta, non si dimentica più; per tutta la nostra vita, quando si sentirà nominar Saragozza, si vedranno quelle mura, quelle porte, quelle finestre, come se si avessero dinanzi. Io vedo in questo punto la piazza della Torre nuova, e potrei disegnar casa per casa, e colorirle tutte, ciascuna