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valenza. 483


"Ditene una."

"Potrebb'essere assassinato."

Mi bastò una ragione sola, come ognuno può capire; e non cercai più in là.


Del resto, a Valenza come altrove, per quel poco commercio ch'ebbi colla gente, non trovai che cortesia, come straniero, e come italiano, un'accoglienza amichevole, anche da coloro che non volevan sentir parlare di re stranieri in genere, e di principi di Casa Savoia in specie, e ch'erano i più; ma che mi usavano la finezza di dirmi prima: — non tocchiamo questa corda. — Allo straniero che, richiesto di dove sia, risponde: — Son francese, — fanno un sorriso garbato come per dire: — Ci conosciamo. — A quegli che risponde: — Son tedesco od inglese, — fanno un leggero cenno col capo come per dire: — M'inchino; — a quegli che risponde: — Sono italiano! — porgon la mano con un atto vivace, come se volessero dire: — Siamo amici, — e lo guardano con un'aria di curiosità come si guarda per la prima volta una persona della quale si sia inteso dire che ci somiglia, e sorridono piacevolmente al sentir parlare la lingua italiana come si sorride al sentir qualcuno che senza volerci mettere in canzonatura imita la nostra voce e il nostro accento.

In nessun paese del mondo un italiano sente meno la lontananza della patria che in Spagna. Glie la rammenta il cielo, la lingua, i volti, i costumi; la venerazione con cui vi si pronunzia il nome dei nostri grandi poeti e dei no-