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482 | valenza. |
ceva la parte di toro, due altre un po’ più corte, le quali, tenute ferme da una parte e l’altra del capo, tenesser luogo di corna. Incredibile, ma vero! Si fece il gioco a coltellate, si sparse un lago di sangue, parecchi furono uccisi, altri feriti a morte, altri malconci, senza che il gioco si convertisse in rissa, senza che le regole dell’arte fossero una volta violate, senza che alcuno levasse la voce per far cessare la strage!
Relata refero, e son ben lontano dal credere tutto ciò che dei valenziani si dice; ma è certo che a Valenza la sicurezza pubblica, se non è un mito, come dicono poeticamente le nostre gazzette parlando delle Romagne e della Sicilia, non è neanco il primo dei beni che vi si goda, dopo quello della vita. Me ne persuasi la prima sera del mio soggiorno in quella città. Non sapevo andare al porto, credevo che fosse vicino, dimandai a una bottegaia per dove dovevo passare. Gettò un grido di meraviglia.
"Al porto vuol andare, caballero?"
"Al porto."
"Ave Maria purisima, al porto a quest’ora?" E si voltò verso un crocchio di donne che stavan accanto alla porta dicendo in dialetto valenzano:
"Donne, rispondetegli voi per me: questo signore mi domanda per dove si passa per andare al porto!"
Le donne risposero ad una voce: "Dio lo guardi!"
"Ma da che?"
"Non si fidi!"
"Ma per che ragione?"
"Per mille ragioni."