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476 | valenza. |
ventiquattro colonne torte sulle quali s'incurvano con uno slancio ardito gli archi leggieri delle vôlte, e l'occhio riceve da quell'architettura una gradevole impressione di gaiezza e d'armonia. E infine v'è un museo di pittura che non è tra gli ultimi di Spagna.
Ma a dire il vero in quei pochi giorni ch'io rimasi a Valenza aspettando un bastimento, ebbi più il capo alla politica che all'arte. Ed esperimentai la verità delle parole che prima di partir dall'Italia avevo inteso dire da un illustre italiano, il quale conosce la Spagna come casa sua: «Lo straniero che vive, anche per breve tempo, in Ispagna, è condotto a poco a poco, senza quasi ch'ei se n'accorga, a scaldarsi il sangue e a beccarsi il cervello sulla politica, come se la Spagna fosse il suo paese, o le sorti del suo paese pendessero dalle sorti della Spagna. Le passioni son tanto ardenti, la lotta è così accanita, e in questa lotta è sempre così apertamente in giuoco l'avvenire, la salute, la vita della nazione, che non è possibile, a chi nulla nulla sia latino d'immaginazione e di fibra, il rimaner spettatore indifferente. Bisogna agitarsi, parlar nei crocchi, pigliar sul serio le elezioni, imbrancarsi nella folla che fa le dimostrazioni politiche, rompersi con qualche amico, formarsi una società di gente che la pensi come noi, e farsi, in una parola, spagnuolo fino al bianco dell'occhio. E via via che si diventa spagnuoli, si scorda l'Europa, come se fosse agli Antipodi, e si finisce col non veder più che la Spagna, come se