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462 | granata. |
gni: "Mi fanno la finezza di dirmi se Granata ha dei confini, e dove li ha? Si può sapere dove andiamo, e come si farà per tornare a casa?" e i miei compagni ridevano e tiravano innanzi.
"O che c'è da vedere ancora qualcosa di più strano?" dimandai a un certo punto.
"Di più strano?" mi rispose un dei due: "Ma questa seconda parte del borgo che lei ha veduta appartiene ancora alla civiltà; è il quartiere se non parigino almeno madrileno dell'Albaicin; e c'è ben altro; andiamo oltre."
Si percorse una lunghissima strada sparsa di donne appena vestite che ci guardavano come gente piovuta dalla luna; si attraversò una piazzetta piena di bambini e maiali amichevolmente confusi; si passò per altre due o tre stradicciuole, ora salendo, ora scendendo, ora in mezzo alle case, ora in mezzo alle macerie, ora tra gli alberi, ora tra le roccie, e si arrivò finalmente in un luogo solitario, sul fianco d'una collina, di dove si vedeva, in faccia il Generalife; a destra l'Alhambra; sotto, una valle profonda coperta d'un foltissimo bosco.
Cominciava a imbrunire, non si vedeva nessuno, non si sentiva una voce.
"Qui finisce il borgo?" domandai.
I due compagni risero e mi dissero: "Guardi da quella parte."
Mi voltai e vidi lungo una strada che si perdeva nel bosco lontano, una sterminata fila di case... di case? di tane scavate nella terra, con un po' di