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granata. | 451 |
gion di stato, come si dice nelle tragedie, mi vieta di riferire.
In quell’albergo ne vedevo ogni giorno una nuova. V’eran molti studenti d’università venuti da Malaga e da altre città dell’Andalusia per dar l’esame di laurea a Granata, non so se perchè qui fossero di manica più larga, o per che altra ragione. Desinavan tutti alla tavola rotonda. Una mattina, a colezione, uno d’essi, un giovanetto di poco più di vent’anni, annunziò che alle due dopo mezzogiorno doveva dar l’esame di diritto canonico, e che non essendo molto sicuro del fatto suo, aveva deciso di bere un bicchier di vino, per rinfrescarsi le sorgenti dell’eloquenza. Non uso a bere che vino annacquato, commise l’imprudenza di vuotare d’un sol fiato un bicchiere di vino di Jerez. Il suo viso si alterò all’istante in così strana maniera, che se non avessi visto il cangiamento coi miei occhi, avrei creduto che non fosse più il viso di prima.
— Ora basta! — gli gridaron gli amici.
Ma il giovane, che si sentiva diventato tutt’a un tratto forte, ardente e temerario, lanciò ai compagni uno sguardo compassionevole, e ordinò con un atto maestoso al cameriere di versargli un altro bicchiere.
— Ti ubriacherai! — gli dissero.
Per tutta risposta, egli mandò giù il secondo bicchiere.
Allora gli prese una parlantina meravigliosa. A tavola v’era una ventina di persone, in pochi minuti attaccò discorso con tutti, e fece mille rivela-