litigando. Era ecclesiastico. Dal 1652 al 1658, per sei anni consecutivi, senza un giorno d’interruzione, litigò coi canonici della cattedrale di Granata, della quale egli era ragioniere, perchè non voleva, giusta i patti stipulati, diventare suddiacono. Prima di partire da Granata, spezzò colle sue mani una statua di sant’Antonio da Padova, che aveva fatto egli stesso d’incarico d’un auditore della Cancelleria, perchè costui si permise di osservargli che il prezzo che gliene domandava gli pareva un po’ caro. Nominato maestro di disegno del principe reale, che, a quanto pare, non era nato col bernoccolo della pittura, lo aspreggiò in tal maniera, che lo costrinse a ricorrere al Re per esser levato dalle sue mani. Rimandato, per una grazia speciale, a Granata, presso il Capitolo della cattedrale, serbò così profondo il rancore degli antichi suoi litigi con quei canonici, che in vita sua non volle più dare una pennellata per loro. Ma questo è poco. Nutriva un cieco, bestiale, inestinguibile odio contro gli ebrei, e s’era ficcato in capo che il toccare in qualunque modo un ebreo o un qualsiasi oggetto stato toccato da lui, gli dovesse recare sventura. Con questa fissazione fece le più strampalate stravaganze del mondo. Se passando per la strada urtava in un ebreo, si levava issofatto il vestito infetto, e tornava a casa in maniche di camicia. Se per caso riusciva a scoprire che, lui assente, un servitore aveva ricevuto un ebreo in casa sua, cacciava il servitore, buttava via le scarpe colle quali aveva premuto l’impiantito