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saragozza. 39

Ispagna, il loro cigarrito, offerendo amabilmente ai vicini la scatola da tabacco e le cartoline; altri mangiavano a due palmenti, facendosi passare l’uno all’altro una specie di vescica che, compressa con ambe le mani, mandava uno schizzo di vino; altri leggevano il giornale corrugando tratto tratto le sopracciglia in atto di profonda meditazione. Uno spagnuolo, quand’è in compagnia, non si mette in bocca uno spicchio d’arancio, o una fetta di formaggio, o un boccone di pane, se prima non ha pregato tutti di mangiare con lui; e per questo io mi vidi passar sotto il naso frutta, e pani, e sardelle, e bicchieri di vino, e che so io, accompagnato ogni cosa da un gentile: “Gusta Usted comer1 conmigo?” al quale risposi: “Gracias,” a contracorpo (è la parola che ci va) perchè avevo una fame da conte Ugolino. Davanti a me, proprio co’ piedi contro i miei, c’era una monaca, giovane, a giudicarne dal mento, ch’era quel po’ di viso che appariva sotto il velo, e da una mano che lasciava come abbandonata sur un ginocchio. Io le tenni gli occhi addosso per più d’un’ora, sperando che alzasse il viso; ma rimase immobile come una statua. Eppure dal suo atteggiamento era facile accorgersi che faceva uno sforzo per resistere alla naturalissima curiosità di guardarsi intorno; e per questo appunto mi destò un sentimento d’ammirazione. — Che costanza! — pensavo, — che vigore di volontà! che forza di sacrifizio, anche nelle più piccole

  1. Le piace mangiar con me?