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granata. 439


color di rosa. So bene che in codesto modo non si studia un paese, non si scrivon Saggi critici, nè si acquista la fama d’uomini profondi; ma so che si viaggia coll’anima serena, e che i viaggi fanno un pro che non si può dire.

Il giorno dopo andai a vedere il Generalife che era come la villa dei Re arabi, e il cui nome va congiunto a quello dell’Alhambra, come quello dell’Alhambra a quel di Granata; benchè oramai del Generalife antico non rimangan che pochi archi e pochi rabeschi. È un piccolo palazzo, semplice, bianco, con poche finestre, con una galleria ad archi, coronato da una terrazza, e mezzo nascosto in mezzo a un bosco d’allori e di mirti, sulla sommità d’un monte floridissimo che sorge sulla riva destra del Dauro, di fronte alla collina dell’Alhambra. Dinanzi alla facciata del palazzo si stende un piccolo giardino, e altri giardini s’alzano l’uno sull’altro, quasi in forma d’una vasta gradinata, fino al sommo del monte, dove sorge un’altissima loggia che chiude il recinto del Generalife. I viali dei giardini, le larghe scale che conducon dall’uno all’altro, e le aiuole piene di fiori, sono fiancheggiate da alte spalliere, sormontate da archi e divise da capanni di mirti curvati e intrecciati con graziosi disegni; e ad ogni ripiano sorgon casine bianche, ombreggiate da pergolati, e da gruppi d’aranci e di cipressi disposti con pittoresca simmetria. L’acqua vi è profusa ancora come ai tempi degli arabi e dà al luogo una