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434 granata.


gente su nelle gallerie che andava e veniva, chiaccherando e ridendo; e mi toccò aspettare un’ora prima di andare a dormire. Ma passai quell’ora molto gradevolmente. Mentre stavo guardando una carta di Spagna affissa alla parete, un omaccione col viso color di barbabietola e una pancia che gli cascava sulle ginocchia, mi si avvicinò, e toccandosi il berretto, mi domandò s’ero italiano; risposi di sì, ed egli soggiunse sorridendo: — "Ed io pure; io sono il padrone dell’albergo."

"Me ne rallegro, tanto più che vedo che lei ci si fa d’oro."

"Dio buono..." mi rispose con un tuono che voleva parer melanconico; "sì... non mi lamento; ma... me lo creda, caro signore, per quanto gli affari vadan bene, quando si è lontani dal proprio paese, qui (e si mise una mano sull’enorme torace) qui si sente sempre un vuoto!"

Gli guardai la pancia.

"Un gran vuoto," ripetè l’albergatore; "la patria non si dimentica mai... Di che provincia è lei, signore?"

"Della Liguria. E lei?"

"Del Piemonte. Liguria! Piemonte! Lombardia! Quelli son paesi!"

"Son bei paesi, non c’è dubbio; ma lei, alla fine dei conti, non si può lamentare della Spagna. Sta in una delle più belle città del mondo, è padrone d’uno dei più belli alberghi della città, ha una folla di forestieri tutto l’anno, e poi vedo che gode d’una salute invidiabile."