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granata. | 431 |
Scendendo dal mirador de la reina io credevo d’aver visto l’Alhambra, e commisi l’imprudenza di dirlo al mio amico. Se avesse avuto in mano un bastone, son certo che me l’avrebbe dato fra capo e collo; ma non avendolo, si contentò di guardarmi coll’aria d’uno che domandasse se mi aveva dato volta il cervello.
Ritornammo nel cortile dei mirti, e visitammo le sale poste dall’altro lato della torre di Comares, la maggior parte mezzo rovinate, altre trasformate, alcune affatto nude, senza pavimento, senza tetto; ma tutte meritevoli d’esser vedute, e per i ricordi che destano, e per bene comprendere la struttura dell’edifizio. L’antica moschea, è stata convertita in cappella da Carlo V; una grande sala araba, in oratorio; qua e là si vedono ancora resti di arabeschi e di soffitti di cedro scolpiti; le gallerie, i cortili, i vestiboli, sembran di un palazzo devastato dalle fiamme.
Visto anche questa parte dell’Alhambra, credetti davvero che non mi rimanesse nulla a vedere, e commisi daccapo l’imprudenza di dirlo al Gongora. Questa volta non si potè più contenere; e condottomi nell’atrio del cortile dei mirti dinanzi a una pianta dell’edifizio affissa al muro, mi disse:
“Guardi, e vedrà che tutte le sale e i cortili e le torri che abbiamo visti finora, non occupano nemmeno la ventesima parte dello spazio che abbracciano le mura dell’Alhambra; vedrà che non abbiamo ancora visitato i resti di altre tre moschee,