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granata. 423


suppone esser dieci re di Granata, vestiti di bianco, col cappuccio in capo, con una mano sulla scimitarra, seduti su cuscini ricamati. I dipinti delle altre due alcove rappresentano castelli, dame e cavalieri, scene di caccia e d'amore, delle quali è difficile afferrare il significato. Ma i volti dei dieci re rispondono meravigliosamente all'immagine che noi ci formiamo di quella gente: è quel colore olivastro, son quelle bocche sensuali, son quegli occhi neri dallo sguardo intento e misterioso che par sempre di veder luccicare negli angoli oscuri delle sale dell'Alhambra.

Al lato norte del cortile v'è un'altra sala chiamata de las dos Hermanas, (delle due Sorelle) da due grandi lastre di marmo che ne formano il pavimento. È la sala più gentile dell'Alhambra. È piccola, di forma quadrata, coperta da una di quelle vòlte in forma di cupola, che gli Spagnuoli chiamano mezzi aranci, sorretta da colonnine ed archi disposti in cerchio, tutta lavorata in forma d'una grotta di stallattiti, con una infinità di punte e d'incavi, coloriti e dorati, e così leggera alla vista, che par sia sospesa in aria, e a toccarla debba tremolar tutta come una tenda, o squarciarsi come una nuvola, o svanire come se non fosse che un mucchio di bolle di sapone. Le pareti rivestite, come in tutte le altre sale, di stucco, e coperte di arabeschi incredibilmente fitti e delicati, sono uno dei più meravigliosi prodotti della fantasia e della pazienza umana. Più si guarda, e più le innumerevoli linee si stringono e s'incrociano, e da una figura nasce un'altra, e da questa una terza,