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granata. | 409 |
palazzo dello stile del Rinascimento, mezzo in rovina, e fiancheggiato da alcune piccole case di meschina apparenza.
"Che gioco è questo?" domandai "Mi conduce qui per vedere una reggia araba, e mi trovo la via chiusa da un palazzo moderno? Chi ha avuto la scellerata idea di rizzar quell’edifizio in mezzo al giardino dei Califfi?"
"Carlo V."
"Era un vandalo. Non gli ho perdonato ancora la chiesa gotica che piantò in mezzo alla Moschea di Cordova; ed ora questa baracca finisce di mettermelo in tasca tutto intero colla sua corona e la sua gloria. Ma in nome del cielo, dov’è l’Alhambra?"
"È là."
"Dove là?"
"In quelle casuccie."
"Eh via!"
"Glie ne dò la mia parola d’onore."
Incrociai le braccia e lo guardai; egli rise.
"Ma dunque," esclamai; "questo gran nome dell’Alhambra non è che una delle solite iperbolaccie ciarlatanesche dei poeti! Io, l’Europa, il mondo, siamo indegnamente corbellati! E valeva la pena di sognar l’Alhambra per trecento sessantacinque notti di seguito, per venir poi a vedere un gruppo di catapecchie con qualche colonna mozza e qualche iscrizione affumicata?"
"Quanto mi ci godo!" rispose il Gongora dando in uno scoppio di risa; "orsù, venga a persuadersi