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granata. | 403 |
«Qual’è la tua magia, il tuo ineffabile incanto, o patria, o dolce nome, che ci sei tanto caro! Il nero Affricano, lungi dal suo deserto nativo, guarda con doloroso sdegno i campi verdeggianti; il rozzo Lappone, rapito alla sua terra materna, sospira le notti perpetue e il perpetuo gelo; ed io, io cui la sorte benigna concesse di nascere e di crescere nel tuo beato grembo, benedetto di tanti doni da Dio, io, lontano da te, avrei potuto dimenticarti, Granata?»
Arrivai a Granata, era buio fitto, non vidi neanco il profilo d’una casa. Una diligenza, tirata da due cavalli
«....... anzi due cavallette |
mi sbarcò in un albergo, dove dovetti aspettare un’ora che mi si facesse il letto, e finalmente, poco prima delle tre della mattina, potei metter la testa sul guanciale. Ma le mie disgrazie non eran finite. Quando cominciavo a pigliar sonno, sentii un mormorio indistinto nella stanza accanto, e poi una voce maschile che disse chiaramente: — Oh che piedino! — Chi ha viscere di umanità, giudichi. Il guanciale era un po’ scucito, tirai fuori due bioccoli di lana, me li cacciai nelle orecchie e riandando col pensiero le traversie del mio viaggio m’addormentai del sonno dei disperati.
La mattina per tempo uscii e passeggiai per le strade di Granata fin che fosse un’ora decente per