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granata. 397


pava, l’andava a tuffare in un piatto di crema; chi girava per la sala in cerca della valigia con un gran sberleffe di salsa sulle guancie; chi, per aver voluto ber d’un sol fiato andatogli il vino per traverso, tossiva da schiantarsi lo stomaco; e gl’impiegati di sulla porta gridavano: — Presto! — e i viaggiatori dalla sala rispondevano: — Ahógate! (affogati), — e i camerieri davan dietro a chi non aveva pagato, e chi voleva pagare non trovava i camerieri, e le signore facevan l’atto di svenire, e i ragazzi strillavano, e ogni cosa era sossopra.

Fu una fortuna ch’io potessi infilarmi nel mio carrozzone prima che il treno partisse.

Ma là m’aspettava un nuovo supplizio. I due vecchi e l’andalusina, che doveva essere figliuola dell’uno e nipote dell’altro, erano riusciti a fare un po’ di preda in mezzo a quella maledetta folla del banco; e mangiavano a due palmenti. Io mi misi a guardarli con occhio malinconico, contando i bocconi e le dentate, come fa il cane accanto alla tavola del padrone. L’andalusa se n’accorse, e mostrandomi un qualchecosa che pareva una polpetta, fece un atto grazioso col capo come per domandarmi se la volevo.

"Oh! grazie!" risposi con un sorriso da moribondo; "ho mangiato!"

Angelo mio, soggiunsi subito tra me e me, se tu sapessi che in questo momento preferirei le tue polpette alle acerbe poma, come direbbe nobilmente messer Niccolò Macchiavelli, colte nel famoso orto delle Esperidi!