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378 | cadice. |
e il mare così bello che pareva un immenso tappeto di raso serico; e luccicava al sommo delle lievi increspature che vi faceva l'aura leggerissima, come se fosse tutto coperto di gemme azzurre, e formava specchi e striscie luminose, e in lontananza mandava lampeggiamenti di luce d'argento, e mostrava qua e là alte e bianchissime vele, simili ad ali sornotanti di giganteschi angeli caduti. Non ho mai visto tanta vivezza di colori, tanta pompa di luce, tanta freschezza, tanta trasparenza, tanta limpidità d'acque e di cielo. Pareva una di quelle aurore della creazione che la fantasia dei poeti ci dipinse così pure e così sfolgoranti da non esser più le nostre, al paragone, che un pallido riflesso; ed era più che lo svegliarsi della natura e il ridestarsi della vita; era come una festa, un trionfo, un ringiovanimento del creato, che sentisse espandersi nell'infinito un secondo soffio di Dio.
Scesi sotto coperta per pigliare il canocchiale; quando salii vidi Cadice.
La prima impressione che mi fece fu di mettermi in dubbio se fosse o non fosse una città; poi risi; poi mi voltai verso i miei compagni di viaggio coll'aria di chi domanda che lo rassicurino che non s'è ingannato. Cadice sembra un'isola di gesso. È una gran macchia bianca in mezzo al mare senza una sfumatura oscura, senza un punto nero, senza un'ombra; una macchia bianca tersa e purissima come una collina coperta di neve intatta che spicchi sur un cielo color di berillo e di turchina in mezzo