una scintilla scorrere per tutte le mie vene, e la testa infiammarmisi come se l'avessi piena di zolfo. Bevvero tutti gli altri, e a tutti pigliò un'allegria sfrenata e una parlantina irresistibile; la prima donna si mise a discorrere in italiano; il tenore in francese; il baritono in portoghese, gli altri in dialetto; io in tutte le lingue e lì brindisi e canzoncine ed evviva ed occhiate e strette di mano sopra la tavola e giuochi di pedina di sotto e dichiarazioni di simpatia che s'incrociavano in tutti i sensi come le impertinenze in un Parlamento quando destra e sinistra s'accapigliano. Finito il desinare, si salì tutti in coperta, rossi, tronfi, sbuffanti, avvolti in una nuvola di fumo di cigarritos; e là, al lume della luna, che inargentava l'ampio fiume, e copriva di una luce limpidissima i boschi e le colline ricominciarono più clamorose le conversazioni, e dopo le conversazioni i canti, non più di ariette di zarzuela, ma d'operoni coi fiocchi, duetti, terzetti, cori, con accompagnamento di gesti e di passi da palco scenico, intercalati di declamazioni di versi, di racconti, d'aneddoti, di risa sgangherate, di applausi fragorosi; finchè sfiatati e rifiniti, tutti tacquero, qualcuno s'addormentò col viso in aria, qualche altro s'andò ad accucciolare sotto coperta, la prima donna sedette in un canto a guardar la luna. Il tenore russava; io approfittai della buona occasione per andare a farmi ripetere a bassa voce un'arietta della zarzuela: El sargento Federico. La cortese andalusa non si fece pregare, cantò; ma tutt'a un tratto