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della giornata, sulla porta d'un giardino; canterellando una canzoncina che sentii cantare da un ragazzo su per le scale della Giralda. Non so spiegare a me stesso questo secreto; ci penso, come a una città che avessi ancora da vedere, e godo nel guardare stampe e nello sfogliar libri comprati là, perchè son cose che attestano a me stesso che ci sono stato. Un mese fa ricevetti una lettera del Segovia che mi diceva: — Ritornate fra noi; — e n'ebbi un piacere matto, e nello stesso tempo risi come se m'avessero detto: — Fate una corsa a Pekino. — E appunto per questo Siviglia mi è cara su tutte le altre città della Spagna; l'amo come una bella donna sconosciuta, che attraversando un bosco misterioso, m'avesse gettato uno sguardo ed un fiore. Quante volte, quando un amico mi scuote dicendomi: — A che pensi? — o nella platea d'un teatro o nella sala d'un caffè, io, per tornare a lui, debbo uscire dallo stanzino di Maria Padilla, o da una barca che scivola all'ombra dei platani della Cristina, o dalla bottega di Figaro, o dal vestibolo di un patio pieno di fiori, di zampilli e di lumi!

M'imbarcai sur un bastimento della Compagnia Segovia, presso la Torre dell'Oro, in un'ora che Siviglia era tutta immersa in un profondo sonno, e un sole ardentissimo la copriva d'un mare di luce. Mi ricordo che pochi momenti prima della partenza, un giovinetto venne a bordo a cercarmi, e mi rimise una lettera di Gonzalo Segovia, la quale rac-