di Casa di Pilato le venne da che il suo fondatore, Don Enriquez de Ribera, primo marchese di Tarifa, la fece costrurre, secondo si narra, ad imitazione della casa del pretore Romano ch'egli aveva vista a Gerusalemme dove s'era recato in pellegrinaggio. L'aspetto esteriore dell'edifizio è modesto; l'interno è meraviglioso. Si entra dapprima in un cortile, non meno bello di quello incantevole dell'Alcazar, cinto d'un doppio ordine di archi sostenuti da leggiadre colonne di marmo, che forman due leggerissime gallerie, l'una sovrapposta all'altra, e delicate tanto alla vista da far temere che rovinino al primo soffio di vento. Nel mezzo è una graziosa fontana, sorretta da quattro delfini di marmo e coronata d'una testa di Giano. I muri sono ornati, in basso, di fulgidi musaici; più su, coperti di ogni maniera di capricciosi arabeschi; qua e là aperti in belle nicchie che contengon busti d'imperatori romani. Ai quattro angoli del cortile, sorgono quattro statue colossali. Le sale son degne del cortile: i soffitti, i muri, le porte sono scolpiti, ricamati, fioriti, istoriati con una delicatezza da miniatura. In una vecchia cappella di stile misto di gotico e d'arabo, di forma elegantissima, si conserva una piccola colonna alta poco più di tre piedi, donata da Pio V a un discendente del fondatore del palazzo, allora vicerè di Napoli; alla qual colonna, narra la tradizione che sia stato avvinto Gesù Cristo per essere flagellato; il che, se pur fosse vero, proverebbe che Pio V non aveva nemmeno un pelo che ci credesse, chè altrimenti non