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338 | siviglia. |
che producevano quelle vocine sotto quelle immense vòlte; quelle creaturine ai piedi di quell'altare enorme; quella danza composta, quasi umile; quel costume antico, quella folla prostrata, e intorno intorno quelle tenebre. Uscii dalla chiesa coll'anima serena come se avessi pregato.
A proposito di questo ballo mi fu raccontato un aneddoto assai curioso. Due secoli or sono, un arcivescovo di Siviglia al quale pareva che colle contraddanze e le nacchere non si lodasse degnamente il Signore, volle proibire la cerimonia. Ne seguì un sottosopra: il popolo strepitò; i canonici alzaron la voce; l'arcivescovo fu costretto a chieder soccorso al papa. Il papa, curioso, volle vedere coi suoi occhi il ballonzolo per poter giudicare con conoscimento di causa. I ragazzi, vestiti da cavalieri, furon condotti a Roma, ricevuti nel Vaticano e fatti danzare e cantare in presenza di Sua Santità. Sua Santità rise, non disapprovò, e volendo dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ossia contentare i canonici senza scontentare l'arcivescovo, decretò che i ragazzi potessero continuare a ballare finché avessero logorato i vestiti che si trovavano addosso; dopo di che la cerimonia si sarebbe considerata come abolita. L'arcivescovo rise sotto i baffi, se li aveva, e i canonici risero anch'essi, come quelli che avevan già trovata la maniera di farla in barba all'arcivescovo e al papa. E infatti essi rinnovarono ai ragazzi ogni anno una parte del vestiario, in modo che non si potesse dire mai che tutto il vestiario era logoro; e l'arci-