Ma il privilegio più curioso della cattedrale di Siviglia è la così detta danza de los seises, che ha luogo ogni sera, sull’imbrunire, per otto giorni consecutivi, dopo la festa del Corpus Domini. Poichè fui a Siviglia in quei giorni, l’andai a vedere, e mi parve cosa degna di esser descritta. Da quanto me n’era stato detto prima, mi pareva che la dovesse essere una pagliacciata scandalosa, ed entrai nella chiesa coll’animo preparato a un sentimento di sdegno per la profanazione del luogo sacro. La chiesa era buia; la sola cappella maggiore illuminata; una folla di donne ginocchioni ingombrava lo spazio fra la cappella e il coro. Alcuni preti stavan seduti a destra e sinistra dell’altare; davanti alla gradinata era disteso un ampio tappeto; due file di ragazzi dagli otto ai dodici anni, vestiti da cavalieri spagnuoli del medio evo, con cappello piumato e calze bianche, eran schierati gli uni di fronte agli altri, in faccia all’altare. A un cenno dato da un sacerdote, una soave musica di violini ruppe il silenzio profondo della chiesa, e le due schiere di ragazzi si mossero con un passo di contraddanza, e cominciarono a dividersi, a intrecciarsi, a sciogliersi, a riannodarsi, con mille graziosissimi giri; e poi proruppero tutti insieme in un canto armonioso e gentile, che echeggiò nell’oscurità della vasta cattedrale come la voce d’un coro d’angeli; e un momento dopo, si misero ad accompagnare la danza ed il canto colle nacchere. Nessuna cerimonia religiosa mi commosse mai come questa. È impossibile esprimere l’effetto