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332 siviglia.


A mezzanotte la città non aveva mutato aspetto; v'era ancora tutta quella folla e tutta quella luce; tornai all'albergo e mi chiusi nella camera coll'intenzione di andar a letto. Peggio che peggio. Le finestre della camera davano sur una piazza dove formicolava un visibilio di gente intorno a una banda musicale che non finiva mai di suonare; cessata la musica, cominciaron le chitarre, le grida degli acquaioli, i canti, le risa; tutta la notte fu un baccano da svegliare le talpe. Io feci un sogno delizioso e tormentoso ad un tempo; ma più tormentoso. Mi pareva d'esser legato al letto da una lunghissima treccia nera attorcigliata in mille nodi, e di sentirmi sulle labbra una bocca di brage che mi toglieva il respiro, e intorno al collo due manine vigorose che mi schiacciavano il capo contro il manico d'una chitarra.

La mattina seguente andai difilato a vedere la Cattedrale.

Per descrivere ammodo codesto smisurato edifizio, bisognerebbe aver sotto mano una raccolta di tutti gli aggettivi più sperticati e di tutte le più strampalate similitudini che uscirono dalla penna degli iperboleggiatori di tutti i paesi, ogni volta che ebbero a dipingere qualcosa di prodigiosamente alto, di mostruosamente largo, di spaventosamente profondo, d'incredibilmente grandioso. Quando ne parlo cogli amici, senza accorgermene, faccio anch'io, come il