stri sparse lungo la strada. Non ricordo d’averne veduta una che non fosse bianca come la neve. È bianca la casa, bianco il parapetto del pozzo vicino, bianco il muricciuolo che cinge l’orto, bianchi i due pilastrini della porta del giardino; ogni cosa par stata imbiancata il giorno innanzi. Alcune di queste case hanno una o due finestrine binate alla moresca, altre qualche arabesco sulla porta, altre il tetto coperto di tegole variopinte come le case arabe. Qua e là, pei campi, si vedon cappe rosse e bianche di contadini, cappelli di velluto in mezzo all’erba, ciarpe di tutti i colori. I contadini che si vedono sulle aiuole, o che accorrono a veder passare il treno, sono vestiti tal quale ce li rappresentano i quadri di costumi di quarant’anni fa: hanno un cappello di velluto con una grandissima tesa un po’ rivoltata, con una piccola cupola a pan di zucchero; una giacchettina corta, un panciotto aperto, un par di calzoni tagliati al ginocchio come quelli dei preti, un par di ghette alte fino ai calzoni, e una fascia intorno alla vita. Questa foggia di vestire, incomoda, ma bella, s’attaglia mirabilmente alle forme snelle di quegli uomini, i quali preferiscono assai lo star bellamente male allo star bene senza grazia, e s’acconciano di buon grado a stintignare una mezz’ora ogni mattina, pur di avere indosso un paio di calzoncini che mettano in rilievo il fianco svelto e la gamba ben tornita. Non han nulla di comune coi nostri contadini del settentrione, dal muso duro e dall’occhio attonito. Quelli vi fissan negli occhi, con