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del mondo i musici e i poeti. E nondimeno, codesto Abdurrahman III, che visse fra tante delizie, che regnò per cinquant’anni, che fu potente, glorioso e fortunato in ogni vicenda e in ogni impresa, scrisse prima di morire che durante il suo lungo regno non era stato felice che quattordici giorni! E la sua favolosa città fiorente, settantaquattr’anni dopo che n’era stata posta la prima pietra, fu invasa, saccheggiata ed arsa da un’orda barbaresca, ed oggi non ne restan che poche pietre, che appena ne rammentano il nome. Di un’altra splendida città, di nome Zahira, che sorgeva ad oriente di Cordova, fatta costrurre dal poderoso Almansur, governatore del Regno, non restan neanco le rovine: una mano di ribelli la ridusse in cenere poco dopo la morte del suo fondatore.
«Tutto ritorna alla gran madre antica.»
Invece di fare una scarrozzata nei dintorni di Cordova, mi diedi a errare qua e là, almanaccando sui nomi delle strade, che per me è uno dei più saporiti piaceri che si possan provare in una città sconosciuta. Cordova, alma ingeniorum parens, avrebbe di che scrivere ad ogni angolo di strada il nome d’un artista o d’un dotto illustre nato fra le sue mura; e, sia detto ad onor suo, li ha tutti ricordati con materna gratitudine. Voi ci trovate la piazzetta di Seneca, e la casa, — se sarà quella, — nella quale nacque; la via di Lucano; la via di Ambrosio Mo-