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cordova. 319


"Quédese Usted con Dios, Consuelo!"

"Váyase Usted con Dios, señor italiano!"

E infilai la stradina solitaria.


Nei dintorni di Cordova non c'è notevoli monumenti arabi a vedere. Eppure tutta la valle era un tempo sparsa di stupendi edifizi. Lontano tre miglia dalla città, a settentrione, alle falde d'un monte, sorgeva Medina Az-Zahra, la città fiorente, una delle più meravigliose opere d'architettura del califfato di Abdurrahman III, iniziata dal Califfo stesso in omaggio a una sua favorita di nome Az-Zahra. Le fondamenta furon gettate l'anno novecentotrentasei, e diecimila operai vi lavorarono per venticinque anni. I poeti arabi celebrarono Medina Az-Zahra come la più splendida delle reggie umane, e il più delizioso giardino della terra. Non era un edifizio, ma un vastissimo congiunto di palazzi, di giardini, di cortili, di porticati, di torri. Ivi piante pellegrine della Siria, giuochi fantastici di fontane altissime, fiumicelli fiancheggiati dalle palme, e vasti bacini colmi di mercurio, che scintillavano ai raggi del sole come laghi di fuoco; porte d'ebano e d'avorio, tempestate di gemme; migliaia di colonne di preziosissimi marmi, grandi terrazze aeree, e fra la moltitudine innumerevole delle statue, dodici animali d'oro massiccio, luccicanti di perle, che schizzavan dalla bocca e dalle nari acque odorose. In questa immensa reggia formicolavano migliaia di servi, di schiavi, di donne, e accorrevano da ogni parte