essere il popolo più serio e più operoso della Spagna. Parlano in fatti dei loro fratelli del mezzogiorno, come i piemontesi parlavano una volta, ora meno, dei napoletani e dei toscani: «sì, hanno ingegno, immaginazione, parlan bene, divertono; ma noi abbiamo per contrapposto maggior vigore di volontà, maggiore attitudine agli studi scientifici, maggior istruzione popolare... e poi... il carattere...» Intesi un catalano, un uomo chiaro per ingegno e dottrina, lamentare che la guerra d’indipendenza avesse troppo affratellato le diverse provincie di Spagna, ond’era seguìto che i catalani contraessero una parte dei difetti dei meridionali, senza che questi acquistassero nessuna delle buone qualità dei catalani. Siamo diventati, diceva, mas ligeros de casco, più leggeri di testa, e non se ne sapeva dar pace. Un bottegaio al quale domandai che pensasse del carattere dei castigliani, mi rispose bruscamente che, a suo avviso, sarebbe una gran fortuna per la Catalogna, che non ci fosse strada ferrata tra Barcellona e Madrid, perchè il commercio con quella gente corrompe il carattere e i costumi del popolo catalano. Quando parlano d’un deputato parolaio, dicono: — Eh! già... è un andaluso. — Poi mettono in ridicolo il loro linguaggio poetico, la pronunzia sdolcinata, la gaiezza infantile, la vanità, l’effeminatezza. Quelli, per contro, parlano dei catalani come una signorina capricciosa, letterata e pittrice, parlerebbe d’una di quelle ragazze massaie, che leggono di preferenza la Cuciniera genovese che i romanzi di George Sand. Son gente