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cordova. | 301 |
che cinge la moschea, un vecchio muro merlato, nel quale s'aprivano una volta venti grandi porte di bronzo, contornate di bellissimi rabeschi, e di finestrine arcate, rette da sottili colonne: coperto ora da un triplice strato di calce. Un giro intorno a quel muro di cinta è una passeggiatina da farsi dopo desinare: si giudichi della vastità dell'edifizio.
La porta principale della cinta è a tramontana nel punto dove sorgeva il minareto di Abdurrahman, sulla cima del quale sventolava lo stendardo maomettano. Entrammo; io credevo di veder subito l'interno della Moschea, e mi trovai in un giardino pieno di aranci, di cipressi e di palme, cinto da tre lati da un porticato leggerissimo, e chiuso al quarto lato dalla facciata della moschea. Nel mezzo di questo giardino era al tempo degli Arabi la fonte per le abluzioni, e all'ombra di questi alberi si raccoglievano i fedeli prima d'entrare nel tempio. Stetti qualche momento guardando intorno, e aspirando l'aria fresca e odorosa con un senso vivissimo di piacere; e mi batteva il cuore al pensare che la famosa moschea era lì accanto, e mi sentivo ad un tempo spinto verso la porta da una immensa curiosità, e trattenuto da non so quale trepidazione fanciullesca. — Entriamo, — mi dicevano i compagni. — Ancora un momento, — rispondevo; lasciatemi assaporare bene la dolcezza dell'aspettazione. — Finalmente mi mossi, e senza neanco guardare la meravigliosa porta che i compagni m'accennarono, entrai.
Che cosa feci o dissi appena entrato, non so;