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296 | cordova. |
frica, per le scuole di Tunisi, di Cairo, di Bagdad, di Cufa, e fino all'India e alla China, a raccoglier libri, ispirazioni e memorie; e le poesie cantate alle falde della Sierra Morena, volavano, di cetra in cetra, fino alle vallate del Caucaso, ad eccitare l'ardore dei pellegrinaggi. La bella, la poderosa, la sapiente Cordova, coronata di tremila villaggi, ostentava alteramente i suoi bianchi minareti in mezzo ai boschetti d'aranci, e spandeva intorno per la valle divina un'aura voluttuosa di letizia e di gloria!
Scendo dal treno, attraverso un giardino, mi guardo intorno, son solo; i viaggiatori che scesero con me sparirono chi di qua chi di là; sento ancora il rumore d'una carrozza che s'allontana; poi tutto tace. È mezzogiorno, il cielo purissimo, l'aria accesa. Vedo due casine bianche: è l'imboccatura d'una strada, entro, vado oltre. La strada è stretta, le case piccine come le villette che s'innalzano sui poggi artificiali dei giardini, quasi tutte d'un sol piano, colle finestre a pochi palmi da terra, i tetti che quasi si toccan col bastone, i muri bianchissimi. La strada svolta, guardo, non vedo nessuno, non sento un passo, non una voce. Dico: sarà una strada abbandonata. Piglio un'altra strada: casette bianche, finestre chiuse, solitudine, silenzio. O dove sono? mi domando. Vado innanzi: la strada, stretta da non potervi passare una carrozza, serpeggia; a destra e a sinistra si vedono altre strade deserte, altre case bianche, altre finestre chiuse; il mio passo risuona