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palazzi e rapiscono le fanciulle; così m'immaginavo di aver a sentir suoni di chitarre e rumor di spade e grida di moribondi. Nulla di tutto questo: le strade eran deserte e silenziose, e le finestre buie; e appena si udiva di tratto in tratto, alle cantonate e sui crocicchi, qualche leggiero fruscío o qualche bisbiglio fuggitivo, che non si sarebbe nemmen potuto dire da che parte venisse. Giunsi all'albergo senz'aver rapito nessuna toledana, ciò che poteva avere qualcosa di spiacevole; ma anche senz'essermi fatto fare nessun occhiello nel ventre, ciò che senza dubbio aveva qualcosa di consolante.

La mattina del giorno dopo visitai il bell'edificio dell'ospedale di Santa Croce, la chiesa di Nuestra señora del Transito, antica sinagoga; i resti di un anfiteatro e d'una naumachia dei tempi dei Romani, e la famosa fabbrica d'armi, nella quale comperai un bel pugnaletto col manico inargentato e la lama coperta di rabeschi, che ho in questo momento sul tavolino, e che, a serrar gli occhi ed a stringerlo, mi fa parer d'esser ancora là, nel cortile dell'opificio, a un miglio di distanza in Toledo, sotto il sole di mezzogiorno, in mezzo a un crocchio di soldati e a un nuvolo di fumo di cigarritos. Mi ricordo che tornando a Toledo alla bella pedona, mentre attraversavo un tratto di campagna solitario come un deserto e muto come una catacomba, una voce formidabile gridò: — Fuera el extranjero!

La voce veniva dalla città, mi fermai, lo straniero