Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/291


toledo. 285


rietà degli Spagnuoli del settentrione e della vivacità degli Spagnuoli del mezzodì; tiene il luogo di mezzo tra il Castigliano e l'Andaluso; parla lo spagnuolo con garbo, con più varietà d'accenti che il popolo di Madrid, con meno rilassatezza che il popolo di Cordova e di Siviglia; ama la poesia e la musica; è altero di annoverare tra i suoi maggiori il soave Garcilaso della Vega, riformatore della poesia spagnuola, e l'arguto Francisco de Rojas, l'autore del Garcia del Castañar; ed è orgoglioso di veder accorrere fra le sue mura artisti e dotti di tutti i paesi del mondo, a studiarvi la storia di tre genti, e i monumenti di tre civiltà. Ma qual che sia il popolo, Toledo è morta; la città di Wamba, di Alfonso il Bravo e di Padilla, non è più che una tomba. Dacchè Filippo II le tolse la corona di capitale, ella è andata sempre declinando, e declina ancora, e si consuma a poco a poco, sola sulla sommità della sua trista montagna, come uno scheletro abbandonato sur una rupe in mezzo alle onde del mare.

Tornai all'albergo poco prima della mezzanotte e siccome splendeva la luna, e le notti di luna, benchè in quelle straduccie non penetri la luce dell'astro d'argento, Toledo non è illuminata, così dovetti camminare poco meno che a tastone come il ladro nella casa del delitto. Colla testa piena, come avevo, di ballate fantastiche, nelle quali son descritte le strade di Toledo, corse, la notte, da cavalieri imbacuccati nelle cappe, che cantano sotto le finestre delle belle, si battono, si ammazzano, dan la scalata ai