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264 | toledo. |
mezzo, in forma di trono, è il seggio dell'arcivescovo; intorno, un giro di enormi colonne di diaspro; sugli architravi, delle statue colossali d'alabastro; ai due lati, degli enormi pulpiti di bronzo con suvvi dei messali giganteschi, e due smisurati organi, l'uno di fronte all'altro, dai quali par debba prorompere da un istante all'altro un torrente di note da far tremare le volte.
Il piacere dell'ammirazione, in queste grandi cattedrali, è quasi sempre turbato dai ciceroni importuni che vogliono ad ogni costo che vi divertiate a modo loro. E per mia disgrazia mi ebbi a persuadere che i ciceroni spagnuoli sono i più ostinati della razza. Quand'uno di costoro s'è fitto in capo che voi avete da passar la giornata con lui, è finita. Potete scrollar le spalle, non rispondere, lasciar che si sfiati senza neanco voltare il viso, girare per conto vostro come se non l'aveste veduto: è tutt'uno. In un momento d'entusiasmo, dinanzi a un quadro o a una statua, vi sfugge una parola, un gesto, un sorriso: basta, siete legato, siete suo, siete preda di questa implacabile pieuvre umana, che come quella di Victor Hugo, non lascia la vittima che a tagliarle la testa. Mentre stavo contemplando le statue del Coro, vidi colla coda dell'occhio uno di codeste pieuvres, un vecchietto mezzo sfatto, che mi si avvicinava a lenti passi, di sbieco, come un sicario, guardandomi coll'aria di dire: — Ci sei. — Io continuai a guardar le statue; il vecchio mi venne accanto, e si mise anch'egli a guardare; poi ad un tratto mi domandò: "Vuol che l'accompagni?"