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254 aranjuez.


stecca, i cuscini ricamati dalla mano delle regine, gli orologi musicali che rallegravano gli ozii degli infanti, le scalette, le finestrine che serban cento piccole tradizioni dei capricci principeschi; e infine il più ricco luogo comodo d’Europa, dovuto a un ghiribizzo di Carlo IV, che racchiude in sè solo tante ricchezze da tirarne di che fare un palazzo, senza togliergli la nobile primazia di cui va altero fra tutti i gabinetti destinati allo stesso scopo. Di là da questo palazzo, e tutt’intorno ai boschi, si stendono vigneti e oliveti e piantagioni d’alberi fruttiferi e ridenti praterie. È una vera oasi circondata dal deserto, che Filippo II scelse in un giorno d’allegro umore quasi per temperare con una gaia immagine la cupa melanconia dell’Escurial. Tornando dal piccolo palazzo di marmo verso il grande palazzo reale, per quei lunghissimi viali, all’ombra di quegli alberi sterminati, in quella profonda quiete di foresta, pensavo agli splendidi cortei di dame e di cavalieri che un giorno vi si aggiravano dietro ai passi di giovani monarchi folleggianti o di regine capricciose e sfrenate, al suono di musiche amorose e di canti che narravan la grandezza e la gloria della invitta Spagna; e ripetevo malinconicamente col poeta di Recanati:

«.... Tutto è pace e silenzio
E più di lor non si ragiona....»

Ma pur guardando certi sedili di marmo mezzo nascosti fra i cespugli, e figgendo lo sguardo nel buio