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madrid. | 251 |
finito la domanda, una risata generale mi rassicurò. Un drappello di cacciatori sparsi per la campagna, vedendo arrivare il treno, s’eran messi d’accordo per far un po’ di paura ai viaggiatori. In quei giorni si parlava della comparsa d’una banda di Carlisti nelle vicinanze di Aranjuez: i cacciatori, fingendo d’essere l’avantiguardia della banda, mentre passava il treno, avevan gettato alte grida come per avvertire il grosso degli armati che accorressero, e gridando, avevan fatto l’atto di sparare contro i carrozzoni; onde lo spavento e le grida della gente; e poi avevan tutt’a un tratto voltato i fucili col calcio in aria, per far vedere che l’era stata una burla. Passata la tremerella, chè n’ebbi per un momento un pochino anch’io, ricaddi nel mio sopore accademico; ma ne fui scosso daccapo, di là a pochi minuti, in una maniera assai più gradevole che la prima volta.
Guardai intorno: la vasta campagna deserta s’era trasformata come per incanto, in un immenso giardino pieno di boschetti leggiadrissimi, percorso in tutti i sensi da larghi viali, sparso di casine campestri e di capanni fasciati di verzura; e qua e là zampilli di fontane, e recessi ombrosi, e prati fioriti, e vigneti, e sentierini, e un verde, un fresco, un odor di primavera, un’aura di letizia e di piacere, da imparadisare l’anima. Eravamo arrivati a Aranjuez. Discesi dal treno, infilai un bel viale ombreggiato da due file di alberi giganteschi, e mi trovai dopo pochi passi in faccia al palazzo reale.