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tima immensa. Chi non sia vissuto o poco o molto in Spagna non può credere che una guerra, per quanto fortunata e gloriosa, possa lasciare in un popolo una così profonda fede nel valor nazionale. Baylen, Victoria, San Marcial sono tradizioni per la Spagna assai più efficaci che non siano per la Francia Marengo, Jena, Austerlitz. La stessa gloria guerriera degli eserciti di Napoleone, veduta a traverso la guerra d’indipendenza che vi stese su il primo velo, appare agli occhi della Spagna assai meno splendida che a ogni altro popolo d’Europa. L’idea di una invasione straniera desta negli Spagnuoli un sorriso di sdegnoso disprezzo; non credono alla possibilità d’esser vinti nel loro paese; bisognava sentire con che tòno parlavan della Germania quando correva voce che l’imperatore Guglielmo fosse risoluto a sostenere colle armi il trono del duca d’Aosta. E non c’è dubbio che, se avessero a combattere una nuova guerra d’indipendenza, forse combatterebbero, con meno fortunato successo, ma con prodezza e costanza pari a quella maravigliosa che spiegarono allora. Il 1808 è il 93 della Spagna; è una data che ogni spagnuolo ha dinanzi agli occhi scritta in carattere di fuoco; se ne gloriano le donne, i ragazzi, i bambini che cominciano a scioglier la lingua; è il grido di guerra della nazione.

E quella stessa alterezza l’hanno dei loro scrittori e dei loro artisti. L’accattone invece di dir España, vi dice qualche volta la patria de Cervantes. Nessun scrittore al mondo ebbe mai nel suo popolo