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madrid. | 215 |
qualcosa nell'orecchio alla sua vittima, par che accompagni ogni colpo con un insulto: — To', prendi, soffri, muori, no! vivi, prendi anche questa, quest'altra, ancor una! — Un po' della sua rabbia sanguinaria s'insinua nelle vostre vene, quella crudeltà codarda vi mette una smania di vendetta, lo strozzereste colle vostre mani, gli schiacciereste il capo col piede. Il gallo vinto, tutto intriso di sangue, spennato, vacillante, tenta ancora di tratto in tratto qualche assalto, dà qualche beccata, e sfugge, e si slancia contro i ferri della ringhiera per cercare uno scampo.
Gli scommettitori s'accendono ed urlano di più in più forte. Non possono più scommettere sulla lotta, scommettono sull'agonia. — Cinco duros á que no tira tres veces! (Che la vittima non tenta più tre assalti). — Tres duros á que no tira cinco! — Quatro duros á que no tira dos! — Va! — Va!
A questo punto udii una voce che mi fece rabbrividire: — Es ciego! — (È cieco).
Mi avvicinai alla ringhiera, guardai il gallo vinto e torsi il viso con raccapriccio. Non aveva più pelle, non aveva più occhi, il suo collo non era più che un osso sanguinoso, il capo era un teschio, le ali, ridotte a tre o quattro penne, strascicavano come due cenci; pareva impossibile che così disfatto potesse vivere e camminare; non aveva più forma. Eppure quel resto, quel mostro, quello scheletro stillante di sangue, si difendeva ancora, si dibatteva nelle tenebre, scotendo le ali dimezzate come due moncherini,