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210 | madrid. |
il piano della quale è grande quanto una gran tavola da pranzo, ricorre un cerchio di poltrone, e dietro a questo, un po' più alto, un secondo; le une e le altre rivestite di panno rosso. Su parecchie delle prime è scritto a lettere di scatola: — Presidente — Secretario — ed altri titoli di personaggi che compongono il tribunale dello spettacolo. Al di là delle poltrone s'alza come una gradinata di banchi, fino alla parete, nella quale s'apre una galleria sostenuta da dieci sottili colonne. La luce viene dall'alto. Il rosso vivo delle poltrone, i fiori dipinti sui muri, le colonne, la luce, l'aria, in una parola, del teatro, ha un non so che di nuovo e di pittoresco, che piace e rallegra. A prima vista, pare che in quel luogo si debba piuttosto sentire una musica festiva e gentile che assistere ad una lotta di bestie.
Quando entrai, v'era già un centinaio di persone. — O che gente è questa? — mi domandai. E veramente il pubblico del circo dei Galli non rassomiglia a quello di nessun altro teatro; è una mescolanza sui generis che si vede soltanto a Madrid. Non c'è donne, non ragazzi, non soldati, non operai, poichè è giorno di lavoro e un'ora incomoda; e nondimeno vi si nota una maggior varietà di aspetti, di vestiti e di atteggiamenti che in qualunque altro ritrovo popolare. È tutta gente che non ha che fare lungo la giornata: commedianti coi capelli lunghi e lo staio spelato; toreros, — c'era Calderon, il famoso picador, — colla loro ciarpa rossa intorno alla vita; studenti colle traccie sul viso della notte passata al