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madrid. 203


genovese, capitano di bastimento, che lo conosceva, s'incaricò di fare la presentazione; fissammo il giorno, ci trovammo nel caffè imperiale della Puerta del Sol. Mi vien da ridere quando penso all'emozione che provai vedendolo comparire da lontano e venire verso di noi. Era vestito con gran lusso, carico di ciondoli, luccicante come un generale in grande uniforme; attraversò il caffè, mille teste si voltarono, mille occhi si fissarono su di lui, su di me, sul mio compagno: io mi sentii diventar pallido. "Ecco il signor Salvador Sanchez," disse il Capitano (Frascuelo è un soprannome). E poi, presentando me a Frascuelo: "Ecco il signor tale dei tali, suo ammiratore." L'illustre matador s'inchinò, io feci una riverenza, sedemmo e cominciammo a discorrere. Che strano uomo! A sentirlo discorrere si sarebbe detto che non aveva cuore d'infilzare una mosca con una spilla. È un giovanotto di venticinque anni, di mezzana statura, svelto, bruno, bello, con uno sguardo fisso e un sorriso d'uomo distratto. Gli domandai mille cose intorno all'arte sua e alla sua vita; parlava a monosillabi; bisognava che gli cavassi le parole di bocca, a una a una, a furia di domandare. Ai complimenti rispondeva guardandosi la punta dei piedi con uno sguardo modesto. Gli chiesi se fosse mai stato ferito: si toccò un ginocchio, una coscia, la spalla, il petto, e disse: "Qui, e poi qui, e poi qui e poi ancora qui;" sorridendo colla semplicità d'un bambino. Mi scrisse l'indirizzo di casa sua, mi invitò ad andarlo a trovare, mi diede un si-