zione non fece che convertire l'entusiasmo popolare, come dice un cronista spagnuolo, in una aficion epidémica. Il re Ferdinando VII, appassionato pei tori, istituì una scuola di tauromachía a Siviglia; Isabella II fu più entusiasta di Ferdinando VII; Amedeo primero non fu da meno, a quello che si dice, di Isabella II. Ed ora il toreo fiorisce più che mai nella Spagna; più di cento sono i grandi proprietarii che allevano tori per gli spettacoli; Madrid, Siviglia, Barcellona, Cadice, Valenza, Jerez, Porto di Santa Maria hanno un circo di tori di prim'ordine; non meno di cinquanta sono i piccoli circhi capaci di tremila fino a novemila spettatori; in tutti i villaggi, dove non c'è circo, si fanno le corridas nelle piazze; a Madrid tutte le domeniche, nelle altre città ogni volta che si può, da per tutto con immenso concorso di gente dalle città vicine, dai villaggi, dalla campagna, dai monti, dalle isole, e persino di fuori Stato. Non tutti gli Spagnuoli, è vero, son matti di codesto spettacolo; molti non ci vanno mai; non pochi lo disapprovano, lo condannano, lo vorrebbero veder bandito dalla Spagna; qualche giornalista, di tanto in tanto, alza un grido di protesta; qualche deputato, l'indomani dell'uccisione d'un torero, parla di fare un'interpellanza al Governo; ma son tutti nemici timidi e fiacchi. Per contro si scrivono apologie delle corse dei tori, si fabbricano nuovi circhi, si rinnovano gli antichi, si deridono gli stranieri che gridano alla barbarie spagnuola.