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192 | madrid. |
quella del compagno. Sovente, invece di slanciarsi contro la muleta, il toro accorto, si slancia contro l'espada, lo rasenta, lo investe, lo insegue, lo costringe a buttar via l'arma e a salvarsi, pallido e tremante, di là dalla barriera. Qualche volta l'urta colla testa e lo atterra; l' espada sparisce in un nuvolo di polvere, la folla grida: — È morto! — il toro passa, l' espada è salvo. Qualche volta gli arriva sotto ad un tratto, lo solleva colla testa e lo sbatte da un lato. Non di rado il toro non si lascia pigliar di mira colla spada, il matador non riesce a coglierlo di fronte, e poichè non lo può ferire, giusta gli statuti, che in quel dato punto e in quel dato modo, si stanca inutilmente per lunga pezza, e stancandosi si confonde, e corre cento volte il rischio di farsi uccidere; e intanto la folla urla, fischia, l'insulta; finchè il pover uomo, disperato, si risolve a uccidere o a morire, e vibra il colpo come vien viene; ed o gli riesce ed è levato a cielo, o gli fallisce, ed è vilipeso, schernito, tempestato di scorze d'arancio, fosse anche il più intrepido, il più valente, il più decantato torero della Spagna.
Nella folla, poi, durante lo spettacolo, seguono mille avvenimenti. Di tratto in tratto scoppia una rissa fra due spettatori. Pigiata com'è la gente, qualche bastonata tocca ai vicini; i vicini dan di mano ai bastoni e picchiano anch'essi; il circolo delle bastonate s'allarga, la rissa si estende a tutto lo scompartimento della gradinata; in pochi momenti, cappelli in aria, cravatte in brani, visi sanguinosi, grida da intro-