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138 | madrid. |
le sere dell'anno un kan-kan scandaloso oltre ogni oscena immaginazione, e là accorrono i giovinastri, le donne ardite, i vecchi libertini dal naso aggrinzato, armati di lenti, di occhiali, di cannocchiali, e di quanti istrumenti ottici valgano ad avvicinare le forme, come dice l'Aleardi, pubblicate dal palco.
Dopo il teatro, si trovan tutti i caffè pieni di gente, la città illuminata, le strade corse da innumerevoli carrozze, come sul far della sera. Uscendo dal teatro, in un paese straniero, si è un po' tristi: si son viste tante belle creature, e nessuna ci degnò d'uno sguardo! Ma un italiano, a Madrid, trova un conforto. Si cantan quasi sempre opere italiane, e si cantano in italiano; così che tornando a casa sentite canterellare colle parole della vostra lingua le ariette che vi son famigliari fin dall'infanzia; sentite un palpito di qui, un fiero genitor di là, un tremenda vendetta più oltre; e quelle parole vi fan l'effetto di saluti di gente amica. Ma per arrivar a casa, che fitta siepe di gonnelle dovete scavalcare! Si dà la palma a Parigi, e non dubito che la meriti; ma neanco Madrid non canzona; e che ardimento, e che parole di fuoco, e che provocazioni imperiose! Finalmente arrivate davanti a casa vostra; ma non avete la chiave della porta. "Non si confonda," vi dice il primo cittadino che incontrate, "vede là in fondo alla strada quella lanterna? L'uomo che la porta è un sereno, e i serenos hanno le chiavi di tutte le case;" Allora voi gridate ad alta voce: — Sereno! — e la lanterna si avvicina, e un uomo con un