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valladolid. | 107 |
di liquore, fin che ne sputan la cenere, coll'aria di chi fa un sacrifizio. E d'un'altra cosa m'accorsi, che osservai pure in seguito, per tutto il tempo che rimasi in Ispagna: non ho mai sentito fischiare.
Dalla piazza Maggiore mi recai alla piazza di San Paolo, vasta ed allegra piazza, nella quale è l'antico palazzo reale. La facciata non è notevole, nè per grandiosità, nè per bellezza: mi affacciai alla porta, e prima di provare un senso d'ammirazione per la maestà del luogo, ne provai uno di tristezza per il silenzio sepolcrale che vi regnava. Non v'è cosa che produca una impressione più vicina a quella d'un camposanto, che la vista d'una reggia abbandonata, appunto perchè ivi è forte e vivo, più che in ogni altro luogo, il contrasto tra i ricordi che desta e lo stato in cui si trova. O superbi cortei di cavalieri piumati, o splendidi conviti, o godimenti febbrili d'una prosperità che pareva eterna! Dinanzi a questi vuoti sepolcri, è un piacere nuovo quello di tossire un po', come qualche volta fanno i malati per prova, e sentir ripetere dall'eco la vostra voce robusta, che v'assicura che siete giovani e sani. Nell'interno del palazzo è un ampio cortile, circondato di busti a mezzo rilievo che rappresentano gl'imperatori romani; una bella scala, e spaziose gallerie al piano superiore. Tossii, e l'eco mi rispose: — Che salute! — ed uscii confortato. Un portinaio sonnecchiante mi accennò sulla medesima piazza un altro palazzo, al quale non avevo badato, e mi disse che in quello era nato el gran rey Felipe segundo, dal quale Val-