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la felicità della mia vita. Accetta il sacrificio..." Ciò dicendo cadde a terra e spirò senza finire la frase, premendosi sul cuore il fazzoletto del Re. Un anno dopo il Papa-moscas si affacciava per la prima volta alla cassetta dell'orologio ad annunziare le ore; il re Enrico lo aveva fatto fare per onorare la memoria della donna che aveva amata; il grido di Papa-moscas rammentava al Re il grido che la sua salvatrice aveva lanciato nella foresta per spaventare i tre lupi. La storia narra che Don Enrico avrebbe voluto udire ripetere da Papa-moscas anche le parole d'amore della donna; ma che l'artista moro che costrusse l'automa, dopo molti sforzi vani, si dichiarò incapace di soddisfare il desiderio del pietoso monarca.

Udita la storia, feci ancora un giro per la Cattedrale, pensando con tristezza che non l'avrei riveduta mai più, che di lì a poco tante meravigliose opere d'arte non sarebbero più state per me che un ricordo, e che questo ricordo un giorno si sarebbe turbato, o confuso con altri, o perduto. Un prete predicava sul pulpito davanti all'altar maggiore: la sua voce si sentiva appena; una folla di donne inginocchiate sul lastrico, col capo basso e le mani giunte, stavano ascoltando; il predicatore era un vecchio di aspetto venerabile, parlava della morte, della vita eterna, degli angeli, con un accento soave, e facendo ad ogni frase un atto della mano, come se volesse porgerla a una persona caduta, e dicesse: — Sorgi. — Io gli avrei porto la mia, gridandogli: