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246 ricordi di parigi.


mai osato: lo fece il mio amico con un garbo squisito, e lo Zola cominciò a parlare di sé, senza preamboli, naturalissimamente, come se parlasse d’un altro. Non c’è da dire se stavo inteso con tutta l’anima alle sue parole. Eppure, nel punto che cominciò a parlare, fui colto da una distrazione che mi fece patir la tortura. Non so come, mi balenò alla mente quella comicissima scena della Faute de l’abbé Mouret, quando il vecchio ateo Jeanbernat dà un carico di legnate al frataccio Archangias, al lume della luna, e mi prese tutt’a un tratto così terribile bisogno di ridere, che dovetti mordermi le labbra a sangue per non scoppiare.

Parlò prima della sua famiglia. La madre di suo padre era candiota, e suo padre Francesco Zola, di Treviso. Dopo la pubblicazione dell’Assommoir egli ricevette dal Veneto parecchie lettere di parenti lontani che non conosceva. Parlo con amore di suo padre. Era ingegnere militare nell’esercito austriaco; era assai colto; sapeva lo