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84 alla francia.

die imperiali, quei colori, quei segni, quei ricordi, quelle bandiere coi nomi di Friedland e d’Austerlitz, l’aura venerabile che muove da quelle file; amiamo quest’esercito, in fine perchè anche noi, come quel giovanetto dei Miserabili, leggendo a sera tarda le pagine immortali della sua grande epopea, abbiamo sentito nella solitudine della nostra cameretta il passo misurato e pesante dei battaglioni della guardia, il grido lontano dei reggimenti, l’eco dei cento cannoni radunati e schierati sotto l’occhio fulmineo del grande capitano, e a poco a poco il cuore ci si gonfiò, l’occhio ci si empì di lacrime, il sangue ci arse, e spalancate con furia convulsa le finestre abbiam lanciato un grido d’entusiasmo nel silenzio della notte: — Viva l’Imperatore!

— Da che parte tieni tu?

— Dalla Prussia.

— Perchè?

— Perchè mi urta i nervi la blague dei Francesi.

Sì, ritorniamo su quest’argomento; così è: tutto si perdona, anche a un nemico, fuorchè il menomo segno ch’egli ci dia di credersi qualcosa da più di noi. Ne siamo magari convinti, ce lo diciamo cento volte al giorno a noi stessi, daremmo gli occhi della fronte per poterci credere in diritto di alzar la testa e di camminare impettiti come lui; forse, in luogo suo, faremmo peggio, e lo diciamo noi stessi; ma non tolleriamo ch’egli mostri d’accorgersene e ci faccia capire che lo sa. In fondo, è un sentimento comune, ma meschino; basso poi e spregevole, quando si faccia cagione e alimento unico di avversione e d’inimicizia, reprimendo in noi tutti quei moti e combattendo tutte quelle tendenze che ci porterebbero più ragionevolmente alla simpatia e all’affetto.

E poi, si noti, i Francesi hanno della blague non perchè sono uomini come tutti gli altri che fecero