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alla francia. 83

a migliaia, col nome d’Italia sulle labbra, noi che ieri soltanto impallidimmo di meraviglia e di terrore dinanzi a un monte di teschi francesi sull’altura della chiesa di Solferino.

Non volete che lo si ricordi? Vi pesa la gratitudine?

Noi dobbiamo amare e venerare l’esercito francese fuori d’ogni ragione politica, d’ogni interesse nazionale, d’ogni legame di gratitudine. L’esercito francese ha una gloria sua e una vita sua, che passò incontaminata e splendida a traverso i regni, le rivoluzioni e le repubbliche, in nome di cui combattè da ottant’anni. Il soldato francese fu prima di tutto e sopra tutto il soldato della rivoluzione e della libertà. Mutata la bandiera, non gli si è mutato il sangue; e il suo coraggio s’accende ancora alla fiamma antica. Sotto il bigio cappotto batte tuttavia il cuore che batteva sotto la giacchetta del giovinetto dalle lunghe chiome, che volava ai confini della Francia scalzo, lacero e superbo. Nel nuovo soldato arde ancora lo spirito che reggeva la lena di quel giovanetto quando trascinava i cannoni su pei dirupi delle Alpi. Le file dei nuovi soldati tien salda ancora quella forza che stringeva i quadrati insuperabili sulle sabbie d’Egitto. Nel petto del nuovo coscritto è viva ancora quella virtù tenace e magnanima che l’animava, estenuato e scarno, nella solitudine dei deserti di neve, in quella follia sublime della campagna di Russia. Noi amiamo codeste memorie, che l’esercito francese ci rappresenta, per il fecondo tumulto di affetti e di pensieri che ci suscitarono nell’anima; le amiamo come tutto quello che è grande e solenne per isventura e per gloria; amiamo codesto soldato perchè fu valoroso, indomabile, sventurato, devoto; lo amiamo in sè, per sè, fuori del suo popolo e del suo sovrano; amiamo quel grande berretto velloso, quell’antica tunica a coda, quelle grandi ghette, quelle due tracolle incrociate delle guar-