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22 | una distribuzione di premi. |
e gl’invidiano, anche i signori. Posso anche farli piangere di consolazione, qui, in presenza di tutti, mentre suona la musica e la gente batte le mani. Posso farlo, se voglio. E lo voglio fare. Lo fecero, il tale e il tale che sono poveri come me, e non hanno più testa di me. Son capace a star levato la notte, io. Non ho lume? Ma io mi farò dare i mozziconi di candela dal vicino. Non ho posto in casa? Ma io studierò magari sul pianerottolo. Mi verrà sonno? E io mi griderò da me stesso: — Su!
Chi sa, al suono di quella banda e di quegli applausi, in quei cervellini esaltati, che germi di nobili ambizioni si svolgono, quanti bei propositi di sacrifizio e di lavoro si formano, quali speranze, quali visioni lontane di gloria e di felicità balenano! Forse anche quello spettacolo è cagione ed alimento di dolori segreti. Molti fanciulli avranno faticato e sperato, e furono delusi; la medaglia fregiò il petto d’un altro; essi lo vedono là, fra gli altri, orgoglioso e felice; forse, tornati a casa, si lasceranno vincere dallo sconforto, si gitteranno nelle braccia dei genitori, si metteranno a piangere. Non importa, sono dolori salutari e fecondi. Molti anni dopo, quando saranno uomini, travagliati da triste passioni, afflitti da molti disinganni, forse nel momento in cui l’amor del lavoro, il senso del bene, il proposito antico d’una vita tranquilla ed onesta, ogni cosa sarà sul punto di staccarglisi dall’anima e andar perduto per sempre, forse in quel momento sarà per loro un richiamo amoroso e potente, il ricordarsi d’aver pianto calde lagrime per una medaglia di scuola. È un insegnamento, questo spettacolo, è una ispirazione pei fanciulli, pei parenti, per tutti.
Infelice colui che, nell’udir quei canti, non s’è sentito qualcosa nell’anima aprirsi e dilatarsi oltre il giro dei pensieri e dei sentimenti consueti, come un largo spazio sereno che rompa all’improvviso un cielo velato; colui che in quel coro di voci non credette di