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214 | certe lettere. |
volere! Queste lettere furono scritte a lui, grande, semplice, buono; a lui, il nostro amico più intimo, il nostro maestro più caro, la nostra gloria più pura! A lui, che quando siamo tristi e scorati, andremmo a picchiare alla sua porta come poveri, per pregarlo che ci metta la mano sul capo e ci dica: — Figliuoli!
Del resto, per tornare sulla terra, non è a dirsi che effetto abbiano fatto sul nostro giovane quelle lettere; come si sia vergognato della sua vanità, del suo orgoglio, della sua pochezza d’animo, ricordando quella ricevuta da lui, e le conseguenze che gli aveva portate; come abbia pensato e sentito che quando a un uomo pari a quello che gli stava dinanzi, si erano scritte delle lettere di quella fatta, a lui si avrebbe quasi avuto il diritto di scrivergliene delle peggio, e di pretendere che se ne tenesse; come in fine si sia proposto di ricominciare a studiare, a scrivere, a lavorare, a fare quello che poteva, senza badare a lettere con nome o senza nome, da qualunque parte venissero, qualunque cosa dicessero, dal consigliare il Della Casa ad augurare la mannaia, con tutte le sfumature intermedie.
Ah! s’io fossi pittore come vorrei ritrarre il viso di quell’uomo mentre diceva di quelle lettere! Qualche volta corrugava la fronte e socchiudeva gli occhi, come per imitare il cipiglio che dovevano fare gli autori scrivendo; a momenti non si ricordava più della frase, la cercava, e trovatala, sorrideva per la compiacenza di non averla dimenticata dopo tanti anni; di tratto in tratto rinforzava l’accento col gesto, come fanno i ragazzi quando si lamentano, che dicono: — E tu mi hai fatto questo, e questo, e questo! — con una ingenuità, con una serenità, con una bonomia, che se non fosse stata una domanda sciocca e villana gli si sarebbe detto! — Mi faccia la grazia di dirmene dell’altre! —
Il giovane, uscendo da quella casa, come segue a