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CERTE LETTERE.


Qualche anno fa, un giovanotto di vent’anni che scriveva articoli di letteratura amena e n’aveva lode e incoraggiamenti, ricevette una lettera senza nome (mi pare da Bergamo, dov’egli era vissuto parecchi mesi), nella quale, fra gli altri complimenti dello stesso genere, gli si faceva questo, ch’era la chiusa: «Invece d’imbrattare le colonne del giornale con quelle sciocche tiritère a cui ella ha posto nome di etc., farebbe meglio a pubblicare qualche pagina di storia, che darebbe anche una miglior idea di noi agli stranieri

Non è mutata una sillaba. Quel tale serba ancora la lettera, e la serberà sempre, non per il valore ch’ella possa avere in sè stessa, ma perchè gli ricorda una delle più forti impressioni della sua età giovanile. Chi la scrisse — se mai gli cadranno sott’occhio queste pagine — ne riderà; e chi la ricevette — se si dovessero un giorno incontrare — ne riderebbe con lui; l’uno è stato un po’ troppo duro, l’altro un po’ troppo sensitivo, ecco tutto; in fondo fu una scioccheria. Ma l’impressione, ripeto, fu tanto forte, che il povero imbrattatore di colonne non l’ha più dimenticata.

La lettera gli arrivò una mattina nel punto ch’egli si disponeva a scrivere una delle sue solite tiritère. L’aperse, la lesse e la buttò in un canto. A un tratto un suo collega che lavorava allo stesso tavolino gli disse: — Ti senti male? — Egli si provò a sorridere;