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192 | un esempio. |
La madre e i ragazzi fecero un segno d’orrore.
“Cantarono!” proseguì il dottore; “forse per la gioia d’essersi liberati dai pericoli avvenire della guerra, forse per far vedere che a loro importava poco d’essere stati battuti, fors’anche per amicarsi i nemici. I nemici sorridevano di disprezzo, i cittadini si voltavano indietro indignati, gli ufficiali prigionieri si coprivano il viso. Un d’essi, non potendo più reggere, si presentò al comandante la scorta e lo pregò, in nome della fratellanza di tutti gli eserciti, che li facesse tacere lui. Tutto, — gli disse, — noi siamo disposti a sopportare, fuorchè questo strazio; se non volete liberarcene voi, dateci almeno le nostre sciabole, che si possa sfracellar la testa a qualcuno. — Il comandante ordinò ai suoi soldati che imponessero silenzio; venne giù una tempesta di piattonate, e i prigionieri tacquero. Quella sera fummo divisi, ed io non li vidi più. Ma a me, agli ufficiali, ai pochi soldati che si batterono, rimasero nella mente le fisonomie e i nomi dei più vigliacchi; ci accordammo per riferire ogni cosa appena tornati al reggimento, e far dare un esempio solenne; si tenne la parola; dieci furono già fucilati; ne restano altri due, che vedrete; noi abbiamo fatto il nostro dovere, non ho avuto mai la coscienza più tranquilla.”
La signora appoggiò la testa sopra una mano e mormorò quasi macchinalmente, cogli occhi fissi: “Ma è la morte... dottore!”
“Sempre così!” esclamò questi balzando in piedi con impeto e cominciando a passeggiare per la stanza; “siamo sempre gli stessi! Finchè si tratta di dire: — combattere per la patria, avanti, coraggio morire, — sta bene; ma quando poi si tratta di restare al proprio posto per morire davvero, allora pare che non ci abbia da essere obbligato se non chi ha il coraggio naturale di starci; per gli altri è un affare di temperamento; chi non può, pazienza, non siamo tutti eroi. Così, fin che si tratta di scagliarsi contro i vigliacchi